Benvenuti al Museo di Lazzaro Spallanzani

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Si vuole far notare inoltre che cliccando sull'immagine di Lazzaro Spallanzani presente sulla destra, si verrà indirizzati sulla sua biografia presente su Wikipedia (seppur incompleta).

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Come Raggiungerci


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Il Museo Oggi

L'istituzione nel 1989 del Centro Interdipartimentale di Servizi "Musei Universitari" (CISMU), appositamente creato per la tutela dell'antico Museo, ha riacceso le speranze di un recupero quasi integrale delle collezioni. Operativo dal 1994, il Centro ha riordinando il materiale museale seguendo i criteri del restauro conservativo dei reperti e della loro catalogazione, nell'intento di consentirne una migliore fruibilità agli studiosi e agli studenti, e promuovere la loro diffusione presso il pubblico. Con impegno e dedizione sono stati restaurati alcune migliaia di pezzi, molti dei quali oggetto di mostre tematiche temporanee allestite presso la Biblioteca Universitaria di Pavia. Con il sostegno economico degli Enti pubblici e privati sono state realizzate: "Immagini dell'Ornitologia nell'800 a Pavia" nel 1996, "Pesci di ieri e di oggi" nel 1997 e "Artigli e zanne: grandi e piccoli predatori" nel 1998. L'obiettivo vero resta, ancora oggi, l'allestimento di un Museo di Storia Naturale in una sede adeguata, che consenta la fruizione pubblica delle collezioni in modo permanente. Un primo sintomo di disponibilità alla valorizzazione delle collezioni naturalistiche è emerso nel 1997 in occasione dell'allestimento permanente, per concessione dell'Amministrazione Comunale, di un piccolo nucleo di reperti nell'atrio della Sala Rivellino del Castello Visconteo.

Nel 6 ottobre 2000 viene inaugurato un deposito provvisorio in via Guffanti, allestito con le collezioni zoologiche di vertebrati, reso appositamente idoneo alla conservazione dei reperti, che consente anche la fruizione al pubblico in occasioni particolari o su prenotazione.
Il CISMU si è mobilitato negli scorsi anni per la costruzione di un nuovo Museo di Storia Naturale, che dovrebbe sorgere nell'area Cravino, accanto al costituendo Museo della Tecnica Elettrica della Facoltà di Ingegneria.

Nel gennaio 2004 si è costituito il Sistema museale di Pavia e della sua Certosa attraverso una convenzione siglata dal Comune di Pavia, dall’Università degli Studi di Pavia, dalla Diocesi di Pavia e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività culturali) e con il sostegno della Provincia di Pavia e della Regione Lombardia (Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie della Lombardia). Scopo del Sistema è promuovere le storiche testimonianze artistiche e scientifiche del territorio pavese.

Nel gennaio 2005 è nato inoltre il Sistema Museale di Ateneo con lo scopo di riunire tutti i musei e le collezioni dell’Università di Pavia e di promuoverne la conservazione e la valorizzazione. A tal proposito, sono state organizzate recenti esposizioni.

Nell'ultimo anno infine è stato approvato un bando di servizio civile con disponibilità per 8 ragazzi dai 18 ai 28 anni intitolato: "La valorizzazione dei musei e delle collezioni dell'Università: una nuova strategia -2009."

COME SONO AVVENUTI I RESTAURI

Lo scadente stato di conservazione delle collezioni ha imposto in primo luogo un deciso trattamento con liquido antiparassitario di tutti gli esemplari. Ripetuto due volte a distanza di un mese questo intervento sembra aver bloccato ogni forma di infestazione.
La seconda fase ha compreso la rimozione completa dello strato di polvere e delle macchie di grasso o vernice che nascondevano la colorazione del piumaggio o del pelo. Anche le parti cornee sono state accuratamente ripulite e lucidate. Gli esemplari sono stati poi rimossi dalla loro base originale e, dopo ripulitura e lucidatura delle basi, fissati sui supporti originali.
Si è quindi proceduto al restauro strutturale degli animali ricollocando le parti anatomiche staccatesi nel corso del tempo e riparando i piccoli danni. Molti Mammiferi ad esempio mancavano di occhi e presentavano rotture delle zampe o di porzioni di esse (falangi o intere dita), mentre gli uccelli avevano le penne rovinate, piegate o rotte, ali, zampe, collo o coda non ben fissate e fuori assetto, presenza di muffe sul corpo e sulle zampe.
Alcuni grossi esemplari presentavano gravi danni (dentatura dello squalo, falangi del coccodrillo, distacco delle pinne, strappi sulla pelle e perdita di grasso nel delfino) e hanno quindi richiesto interventi più importanti. Il restauro è stato di tipo conservativo e particolare attenzione è stata prestata alla morfologia originale della preparazione tassidermica in modo da mantenere inalterato l'atteggiamento preesistente.
Oggi gran parte della collezione (tra cui i pezzi più vecchi e interessanti) sono conservati nella sede di Via Guffanti, mentre a Palazzo Botta si trovano attualmente le collezioni di uso didattico delle sezioni di Zoologia e di Anatomia Comparata.

L'Ordinamento

Concezioni Museografiche

Spallanzani condivideva le moderne teorie museografiche di Linneo, Buffon e Diderot. Per lui una vera collezione si distingueva dalle raccolte degli amatori per due requisiti essenziali, il primo era la completezza delle serie esposte, perchè la natura doveva essere rappresentata in un museo "dagli ultimi anelli della catena...ai più alti ... giungendo infine all'uomo". L’altra idea cardine del suo pensiero museografico era l’ordine metodico con cui i vari esemplari venivano esposti, che doveva basarsi sui principi della storia naturale. Tuttavia, nel Museo di Spallanzani a Pavia sussistono, almeno nei primi anni, alcuni segni di certo collezionismo barocco. Diffidente nei confronti dei "nomenclatori", Spallanzani adottò in parte soluzioni espositive più vicine al suo gusto estetico e alle sue attitudini di scienziato. I disparati collaboratori cui lo scienziato delegò la sistemazione delle collezioni nei primi anni del Museo, lo resero certamente più simile a una disordinata camera delle meraviglie che non ad una rigorosa esposizione scientifica. Ecco perchè nel 1787, il Rosa trovò il Museo in "un totale disordine", i reperti confusamente raggruppati in base alla data di acquisizione, o alla loro forma e grandezza. Sospesi al soffitto della galleria c’erano foche, delfini, testuggini, squali, secondo la tradizione dei gabinetti degli alchimisti medioevali o delle Wunderkammern rinascimentali. Rettili, serpenti e pesci, in vasi di alcool, erano collocati secondo le dimensioni dei contenitori. Tanti i grossolani errori di nomenclatura e classificazione, molte le lacune nei pezzi e moltissimi i reperti ormai consunti.

Arredi

Le soluzioni di tipo architettonico-decorativo per rendere il Museo "istruttivo" e gradevole per i visitatori furono studiate da Spallanzani stesso. I primi armadi furono costruiti nell’ottobre 1771 sui disegni spediti dalla cugina Laura Bassi. Spallanzani ricevette poi nel 1781 altri progetti di armadi disegnati dal Piermarini, forse troppo "belli" per rispondere a criteri di utilità scientifico-didattica. Sembra infatti che questi armadi non vennero mai costruiti. Dopo la visita del 1786 al Museo di Vienna, Spallanzani propose di costruire i nuovi scaffali del Museo pavese sulla falsariga di quelli viennesi. Il progetto definitivo degli armadi fu affidato nel 1790 all'architetto Pollak, allievo di Piermarini. Alti 3.50 m., occupavano tutti i lati della grande galleria per una lunghezza lineare di 92 metri ed erano ampi scaffali di noce, "tutti eguali, continui e simmetrici, colle facciate a giorno munite di grandi lastre di cristallo, quattro l’una sopra l’altra" che dividevano quindi gli spazi interni in 4 ripiani. L’interno, originariamente azzurro, era stato ridipinto di bianco per far risaltare i pezzi ed evidenziare gli attacchi dei parassiti. All’esterno gli scaffali erano estremamente semplici e senza ornati. Per consentire l'uso del Museo ai fini didattici lo scienziato aveva richiesto delle panche. Infine il Museo venne corredato negli anni ‘90 da un grande "globo geografico" delineato con maestria e "secondo le più recenti scoperte" da Vincenzo Rosa.

Esposizione dei reperti

La grande Galleria (A) era destinata ai soli animali, cioè "Mammali" e Pesci nelle due facciate centrali, Uccelli e "Amfibj" nelle due facciate meridionali, Insetti e Vermi in quelle settentrionali. Nella sala B erano collocate le Terre e le Pietre; i pochi "Vegetabili" con altre Petrificazioni, Sali e Produzioni vulcaniche erano esposti nella"buia" sala C, infine i metalli trovavano posto nella sala D. Gli animali di piccole o medie dimensioni erano disposti in serie sistematica entro gli scaffali, mentre i grossi esemplari erano collocati o in mezzo alla Galleria o sopra gli armadi. Sul bordo superiore di questi erano affissi dei "chiari cartelli riportanti in grosso carattere l’andamento e il nome della classe: I Mammalia, II Aves, III Amphibia,...". Gli esemplari erano conservati o impagliati e rimontati in atteggiamenti naturali, o immersi nell’alcool entro vasi di cristallo, o seccati e rinchiusi in cassette entomologiche. I coralli erano montati su piedistalli dorati a forma di candeliere; i Mammiferi e i grossi pesci erano fissati su assicelle dipinte di azzurro e con orlo dorato. Su basi rotonde del tutto simili erano montati i grossi uccelli. I piccoli uccelli erano invece rinchiusi da soli o in gruppo entro campane cilindriche di vetro chiaro. Ad ogni esemplare era fissata sul piedistallo un’etichetta riportante il numero linneano e il nome generico, il numero individuale e il nome specifico, infine il nome comune o volgare in italiano e la provenienza del pezzo. La numerazione seguiva fedelmente quella riportata nella 12a e 13a edizione del Systema Naturae di Linneo: con il libro alla mano era possibile "riscontrare tutto il regno animale del Museo e viceversa"

Cataloghi

I primi cataloghi del Museo furono compilati nel 1776 dallo stesso Spallanzani che li spedì a Vienna al Principe Kaunitz.

Scopoli redasse nel 1779 il catalogo delle conchiglie ("Testacei"), e nel 1781 la bozza del catalogo degli Zoofiti. Volta compilò tra il 1784 e il 1786 i cataloghi del Regno animale comprendenti gli indici sistematici delle sei classi linneane. I Mammiferi erano curiosamente divisi in Primates (uomo e orango), Brutae (scimmie non antropomorfe), Ferae, cioè carnivori, GLIRES (tutti i roditori e i lagomorfi), PECORA (cervidi, bovidi, ovidi), BELLUAE (cioè Belve, comprendenti cavallo e ippopotamo), CETE (cetacei). Nel 1784, insieme alla collezione Van Hoey veniva acquisito il relativo catalogo; nel 1786, allegato alla collezione dei vermi viscerali di Goeze, pervenne anche il catalogo redatto dal raccoglitore.

Nel 1786 Volta, aiutato da Scopoli, compilò in due mesi un Inventario per rilevare i pezzi mancanti e sostenere l’accusa di furto contro Spallanzani.

Nel 1787, dopo l’assoluzione di Spallanzani, l’Imperial Regio Governo ordinò a Ermenegildo Pini di fare un inventario sintetico di tutti gli oggetti presenti nel Museo, e successivamente incaricò i custodi Rosa e Martinenghi della compilazione dei cataloghi completi, assegnando al primo i regni animale e vegetale, e al secondo il regno minerale.

La Fama

Il Poema

Il Museo di Spallanzani è l’unico al mondo di cui esista anche un catalogo in versi. Le meravigliose collezioni di animali "esotici e nostrali" allora presenti sono infatti documentate nell'Invito a Lesbia Cidonia, poemetto composto dal matematico bergamasco Lorenzo Mascheroni, buon amico di Spallanzani e noto nei circoli letterari ispirati all’Arcadia sotto lo pseudonimo di Dafni Orobiano. Fin dal 1786, Mascheroni aveva diretto alla bellissima Contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi, bergamasca come lui e poetessa famosa con il nome arcadico di Lesbia Cidonia, il sonetto Vieni, e consola del Tesin la sponda. Ma l’aristocratica, per ragioni di salute aveva sempre rinviato la visita. Finchè, dopo la pubblicazione dell’Invito avvenuta il 20 aprile 1793, si decise finalmente a intraprendere il viaggio per Pavia. Qui arrivò il 12 maggio del 1793, vi si trattenne per 5 giorni e visitò il Museo, legandovi per sempre il suo nome.

L’Invito di Mascheroni si inserisce nel genere della poesia didascalica e fu scritta con lo scopo di glorificare l’Ateneo Pavese e di divulgarne i tesori posseduti. Alle lodi di Pavia e della sua Università, segue la descrizione del Museo di Storia Naturale (vv 57-249), del Gabinetto e Teatro di fisica (vv.250-384), della Biblioteca (vv.385-401), dei Gabinetti d’anatomia comparata e umana (vv. 402-467) e infine dell’Orto Botanico (vv. 468-520). I giudizi estetici sull’Invito furono sempre discordi. I suoi contemporanei giudicarono l’opera di Mascheroni come i "più bei versi sciolti di questo secolo" e il poema ebbe risonanza europea. Nell’Ottocento invece le stroncature furono numerose e l’Invito fu definito " poco più che un catalogo in bei versi del Museo pavese di scienze naturali", ma piuttosto "monotono e stucchevole nelle enumerazioni".

L'Arcadia

L’Arcadia, Accademia letteraria romana, fu fondata nel 1690, un anno dopo la morte della regina Cristina di Svezia, dai letterati che frequentavano il suo salotto. Il nome, nato per caso da una frase di uno dei fondatori, voleva alludere a quegli ideali di semplicità, schiettezza, chiarezza stilistica predicati dagli accademici. Al di là del rigido cerimoniale che caratterizzava la vita dell'Arcadia (ogni letterato prese un nome da pastore greco; il presidente fu chiamato "custode"; l’insegna fu la siringa di Pan; il luogo degli incontri fu detto Bosco Parrasio), l'accademia svolse un ruolo di primo piano nel panorama culturale italiano fra Seicento e Settecento. Nata con un deciso programma di reazione al cattivo gusto e alla ridondanza del secentismo barocco in nome di ideali di classicità e di razionalismo, l’Arcadia diede vita ad una poesia nella quale si rispecchiava serenamente la dolcezza di vita ispirata all’ottimismo illumista del mondo intellettuale pre-rivoluzionario. Durante il romanticismo l'aggettivo arcadico divenne però sinonimo di artificio, astrazione, superficialità. A lungo sull'accademia ha pesato questo giudizio negativo, e soltanto nel Novecento la critica ha finalmente riconosciuto la non trascurabile funzione storica svolta dall'Arcadia, sottolineandone l'influsso esercitato, anche a distanza, su poeti come Foscolo e Leopardi.

I Visitatori Illustri

Attirati dalla fama di Spallanzani e anche dall’Invito, numerosissimi furono i visitatori illustri del "gran Museo" di Pavia, certamente allora uno dei più ricchi e vistosi d’Europa. Spallanzani accompagnava gli ospiti nella visita, fornendo spiegazioni e regalando spesso esemplari duplicati. Tra le personalità politiche ricordiamo il consultore Pecci, Don Carlo Colloredo e il principe del Liechtenstein. L’ Imperatore d’Austria Giuseppe II venne a visitare il Museo il 17 febbraio 1784, mentre l'Arciduca Ferdinando arrivò all'Università di Pavia nel 1791 e visitò con cura il Museo insieme alla moglieMaria Amalia, Infanta di Parma. Molte donne, belle colte e aristocratiche, si fecero attrarre da una visita al Museo dell’affascinante scienziato tra cui la principessa russa Daskof nel 1781 e appunto Paolina Secco-Suardo-Grismondi che ammirò il Museo il 14 maggio 1793 in compagnia di alcuni professori dell’Università.

La Storia

Fondazione

Appena nominato professore a Pavia, Spallanzani sollecitò subito la creazione di raccolte dimostrative per le sue lezioni di Storia Naturale. L’Imperatrice Maria Teresa in persona ordinò di spedire a Pavia 7 casse di materiali che giunsero il 6.2. l771 e costituirono il primo nucleo del Museo. Due mesi dopo lo scienziato propose al Conte Firmian di acquisire "alcune casse di corpi naturali raccolte dal Vandelli" sulle montagne milanesi e di provvedere alla ristrutturazione e sistemazione dei vani del Museo. La collezione Vandelli pervenne al Museo solo nel 1775 insieme alla Collezione del cav. Fabrini, di Firenze, formata da 4069 pezzi, soprattutto minerali. L’acquisizione delle raccolte di conchiglie e produzioni marine della Repubblica Dalmata di Ragusa, arrivate in 7 casse nel dicembre 1775, permetteva infine a Spallanzani di prevedere "che il Museo di Storia naturale di Pavia sarà uno de' più belli d'Italia".

Dotazione

Inizialmente il Museo non aveva una dote fissa, ma a partire dal 1776 venne stanziata una cifra di 6 zecchini annui per la manutenzione e una variabile tra 30 e 50 zecchini per l’accrescimento delle collezioni. La dotazione annua crebbe con il tempo passando dalle 1200 lire nel 1786 alle 6000 lire nel 1794.

Sedi

Le prime sedi provvisorie del Museo furono prima due stanze del collegio Ghislieri e poi Casa Malaspina, adiacente al Collegio. Per l’accrescersi delle raccolte, il Museo fu trasferito nel 1775 nel palazzo dell'Università e sistemato nel salone centrale al primo piano.

Nel 1779 a questa prima "grande" stanza fu aggregata una seconda stanza a sud, cioè la sala di Fisica Sperimentale di Alessandro Volta, e infine nel 1781 una terza stanza a nord, quando l’Università acquisì alcuni caseggiati per creare il Teatro anatomico. L’anno dopo il Museo aveva ormai assunto l’aspetto definitivo: dalla fusione delle tre sale era risultata una grande galleria, lunga complessivamente 58 m per 8 m di larghezza con 2 ingressi sul lato orientale (verso il cortile dell’Università), 10 grandi finestre esposte a ovest (su Strada Nuova) e una esposta a nord (su C.so Carlo Alberto). Vi erano anche altre tre sale più piccole per i prodotti "vegetabili" ed il Regno minerale, e una stanza che fungeva da ripostiglio e laboratorio. La galleria era suddivisa in tre spazi da quattro colonne appaiate a due a due. Così le pareti erano divise in sei facciate, ognuna delle quali occupata, dopo l’integrale riordino del 1787, da una delle sei Classi del Regno Animale.

Personale e Collaboratori

Le prime collezioni zoologiche furono ordinate e sistemate a cura di Giovanni Antonio Scopoli, professore di Botanica e Chimica presso l’Università, e del bidello della Facoltà filosofica Carlo Guarnaschelli. Nel 1782 la Corte di Vienna istituì la figura del custode e nominò a questo ufficio il canonico Giovanni Serafino Volta, mantovano. Nel 1787, dopo il processo per il presunto "furto"di reperti, Volta e Guarnaschelli furono allontanati e sostituiti provvisoriamente con il Padre barnabita Ermenegildo Pini. All’abate Vincenzo Rosa fu poi attribuita la responsabilità del regno animale e vegetale mentre il barnabita Giovanni Martinenghi classificò tutta la parte minerale del Museo. Rosa e Martinenghi curarono insieme tutto il lavoro di riordino e sistemazione delle collezioni in base al Systema Naturae di Linneo.


Nell’800

Alla morte di Spallanzani, la cattedra e la direzione del Museo furono affidate al suo allievo bergamasco Giuseppe Mangili. Durante i vent'anni di direzione, Mangili arricchì il Museo di molte collezioni, tra cui una preziosa collezione di opali giunti da Vienna nel 1811 e circa 800 animali della Nuova Olanda (Australia). Il successore di Mangili fu il bresciano Giovanni Maria Zendrini che resse la cattedra e il Museo dal 1819 al 1852. Appassionato di mineralogia, incrementò le collezioni con l'acquisto di minerali della Sassonia e dell'Ungheria.
Dal 1852 al 1874, sotto la direzione del milanese Giuseppe Balsamo Crivelli il Museo attraversò un periodo di grande splendore grazie alle donazioni e agli acquisti di nuovi esemplari, tra cui uccelli, rettili, insetti e grandi mammiferi, tra cui una giraffa e un formichiere gigante. Leopoldo Maggi fu direttore del Museo per un solo anno dal 1874 al 1875. Alla separazione nel 1875 delle cattedre di zoologia, mineralogia e anatomia, Maggi, titolare della cattedra di anatomia comparata, assunse la direzione del relativo museo autonomo, di cui incrementò le raccolte con interessanti preparati osteologici. La cattedra di zoologia e la direzione del Museo fu assunta da Pietro Pavesi che rimase in carica dal 1875 al 1903. Naturalista illustre e intellettuale eclettico, sotto la sua direzione furono fatti importanti arricchimenti tanto che la consistenza del Museo di Zoologia arrivò ad oltre 7.000 specie rappresentate da ben 50.000 esemplari. La sezione di geo-mineralogia divenne Museo autonomo nel 1887 sotto la direzione di Torquato Taramelli e rimase nel Palazzo Centrale dell'Università abbinata al relativo Istituto.

Nel ‘900

I musei di Anatomia Comparata e di Zoologia seguirono il trasferimento degli Istituti a Palazzo Botta, rispettivamente nel 1903 e nel 1935. Le strutture museali proseguirono in autonomia la conservazione delle collezioni e il loro incremento, purtroppo limitato a rare donazioni. Lo sviluppo di nuovi settori di ricerca conseguenti al progresso scientifico-tecnologico del XX secolo e le innovazioni nell'insegnamento delle scienze naturali segnarono un inesorabile declino di interesse per i musei. La necessità di spazi per i laboratori di ricerca comportò nei primi anni '60 il trasferimento delle collezioni in alcuni locali del Castello Visconteo, allo scopo di allestirvi un Museo di Storia Naturale fruibile dal pubblico. Purtroppo i propositi, pur ufficializzati in ripetute convenzioni (dal 1956 al 1988) tra l'Università e gli Enti locali, rimasero solo buone intenzioni e le collezioni subirono gravi deterioramenti.